Trionfo, declino e rinascita di Bugatti: iper velocità dal DNA italiano

Ripercorriamo insieme la lunga storia di Bugatti, il marchio francese dal DNA in realtà italiano, le cui vicissitudini iniziano nel 1909.

Trionfo, declino e rinascita di Bugatti: iper velocità dal DNA italiano
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Fondata dall'emigrato italiano Ettore Bugatti in Alsazia all'inizio del '900, territorio allora sotto bandiera tedesca, l'omonima azienda automobilistica si è però sempre considerata fino in fondo francese. Un marchio che fin dai suoi primi passi ha sfidato le mode e i tempi producendo veicoli ammirati da tutti ma acquistabili solo da pochi.
La storia della cosmopolita Bugatti nasce dalla visione del milanese Ettore, primogenito di Carlo Bugatti, un importante designer di mobili e gioielli in stile Liberty.

Come il fratello minore, che non a caso si chiamava Rembrandt, anche Ettore, che studierà presso l'Accademia di Belle Arti di Brera, sembra avere come tutta la sua famiglia l'arte nel destino, perlomeno fino a quando dopo qualche frammentaria esperienza al di là delle Alpi nel mondo delle quattro ruote il naturalizzato francese dal 1903 decide di diventare "Il Patron" (così sarà per sempre soprannominato) di una propria compagnia di automobili. È il 1909 quando nella piccola Molsheim, una cittadina a circa 30 km da Strasburgo, nasce il sogno a quattroruote di Ettore Bugatti.

Il sogno Bugatti prende vita

Egli affitta una vecchia filateria per 5.000 marchi all'anno e incomincia la produzione delle sue vetture. La fabbrica in origine è composta da 65 operai che fabbricano 75 Bugatti Type 13: la prima vera Bugatti.

Ettore però non perde tempo e già nel luglio del 1911 iscrive una delle sue vetture al Grand Prix de France, affidandola a Ernest Friedrich. Quest'ultimo riuscirà addirittura a concludere la gara al secondo posto dietro all'imponente Fiat di Hemery. Di questa storica corsa per il Patron il giornale La Vie au Grand Air scrisse che la Bugatti "sembrava un topolino che inseguiva un elefante". Questa prestazione fu fondamentale per portare nuova linfa alla fabbrica, la quale ricevette ben presto nuove ordinazioni da Francia, Germania, Inghilterra e Belgio.
L'imprevisto, quando il sogno sembra ormai in rampa di lancio, assume un nome terrificante: il 28 luglio 1914 scoppia la Prima Guerra Mondiale. Ettore sotterra vicino alla fabbrica gli ultimi tre telai della sua produzione e riesce faticosamente a raggiungere Milano. Nel 1919, a guerra finita, torna a Molsheim dove la sua fabbrica - ora sì, dopo la disfatta degli Imperi Centrali in territorio francese - miracolosamente non è stata danneggiata dal conflitto mondiale e, dissotterrati i suoi telai, riprende il suo sogno interrotto.

Arrivano anche i primi grandi successi per l'azienda che nel 1920 conquista la vittoria sull'iconico tracciato di Le Mans nella Coupe de Voiturette, alla sbalorditiva media per l'epoca di 90 km/h, un successo bissato da un altro grande trionfo, l'anno successivo, quando il Patron si presenta a Brescia con 4 vetture Type 13 Grand Prix piazzandole ai primi quattro posti della classifica. Da quel giorno la Type 13 sarà per tutti la "Bugatti Brescia".

Trascorrono altri tre anni quando, nel 1924, in occasione del GP di Francia, a Lione, Bugatti decide di far debuttare il suo capolavoro: la Type 35.
Il debutto non fu scintillante, dei problemi agli pneumatici le impedirono di ben figurare e cogliere un piazzamento di prestigio. Senza paragoni fu però quello di cui la T35, prodotta in soli 460 esemplari fra il 1924 e il 1931, fu capace di lì in avanti.

L'auto caratterizzata dalla sgargiante colorazione French Racing Blue ottiene infatti la stratosferica cifra di 1851 successi nei seguenti 3 anni, 12 dei quali nei Major Grand Prix, il gotha dell'automobilismo delle origini. Nessun tracciato sembra impossibile da conquistare, nemmeno la durissima Targa Florio che si snoda lungo le assolate strade siciliane.

La corsa macina-macchine per eccellenza dimostra anche la resistenza dell'otto cilindri in linea francese capace, nella sua prima versione, di toccare i 180 km/h riuscendo a imporsi in Sicilia per cinque stagioni consecutive, dal 1925 al 1929.
Nel Ventinove arriva anche la vittoria nella prima edizione di sempre del prestigioso Gran Premio di Monaco. Alfa Romeo, Fiat e Mercedes devono tutte inchinarsi alla capostipite delle celebri, da allora in poi, purosangue Bugatti. Nessuno negli anni d'oro può toccarli.

Dalla Bugatti Royale agli autotreni

Quando sembra difficile elaborare qualcosa di ancora più incredibile ecco che Bugatti decide di produrre, tra il 1929 e il 1933, la prestigiosa Bugatti Royale, l'auto che nelle intenzioni del Patron avrebbe dovuto surclassare la britannica Rolls Royce. Il costo di 650.000 sterline era da capogiro in un'epoca nella quale a queste cifre non arrivava a costare nemmeno una casa.
La Royale, come suggerisce il suo stesso nome, non è un'auto per i "normali facoltosi", è una vettura pensata su misura per le teste coronate: solo loro avrebbero potuto averne una.

Delle 25 vetture preventivate ne furono però costruite solo 6 poiché la Grande Depressione, che aveva altri progetti per il 1929, si abbatté come una scure sullo sfacciato sfoggio di ricchezza ideato da monsieur Ettore Bugatti. Delle sei Bugatti "Gold" - altro nome con cui era conosciuta per le numerose parti in oro disseminate nel prototipo - solo tre saranno effettivamente vendute.

La stravagante auto, pure per un'era di ardita e pionieristica sperimentazione, pesava più di tre tonnellate e superava i 6 metri di lunghezza, di cui 2,20 metri solo di cofano. La sua imponente massa era spinta da un motore 8 cilindri da 12,7 litri in grado di erogare fino a 300 CV e, attraverso il suo cambio a sole tre marce, raggiungere i 160 km/h. L'auto si rivelò, anche per via delle infelici contingenze economiche, un pesante insuccesso finanziario che spinse Bugatti a progettare un altro exploit: riutilizzare i giganteschi motori in esubero per equipaggiare degli autotreni ferroviari, sempre di produzione Bugatti.

Con il loro ricavato il Patron riuscì a evitare tragiche conseguenze sul piano finanziario alla sua azienda. Di questi WR (Wagon Rapide) ne vennero realizzati 88, caratterizzati da prestazioni eccezionali.
Basti pensare che durante una serie di collaudi furono in grado di raggiungere una velocità massima di 172 km/h e 150 km/h di crociera: una sorta di treno ad alta velocità dell'epoca.
Con la Type 35, Royale ed altri modelli straordinari come la magnifica auto touring Type 44, un best-seller per gli standard della casa di Molsheim e probabilmente il più raffinato prodotto dell'azienda, la casa francese può a buon ragione fregiarsi del titolo di regina dei costruttori fra le due guerre.

Nella seconda metà degli anni Trenta Jean Bugatti, il pupillo di papà Ettore, acquisisce sempre più influenza all'interno dell'azienda progettando personalmente grandi modelli come la Type 55 e 57 anche perché il padre - profondamente amareggiato dallo sciopero dei suoi operai che nel 1936 decidono di occupare la fabbrica di Molsheim - decide di trascorrere sempre più tempo a Parigi.
La 57 mostrerà tutto il suo valore conquistando per ben due volte la corsa per eccellenza, la 24 Ore di Le Mans, con al volante piloti transalpini: nel 1937 con Jean-Pierre Wimille e Robert Benoist, nel 1939 con Wimille e Pierre Veyron.

L'inizio di una irreparabile serie di disastri

Questi grandi successi saranno anche gli ultimi per il marchio di Molsheim. Una serie di infausti eventi sta infatti per travolgere l'azienda, il primo dei quali è la scomparsa, a soli trent'anni nell'agosto del 1939, del figlio ed erede designato Jean per un incidente proprio mentre era alla prova della "sua" 57.

Nemmeno il tempo di riprendersi dal trauma che la Germania Nazista il primo settembre di quello stesso anno decide di invadere la Polonia dando così il via al secondo massacro mondiale. A Bugatti non rimane che cedere volontariamente l'azienda per evitare la vendita giudiziaria all'asta. Ne ricava 150 milioni di franchi, circa la metà delle stime reali. Questa volta, a differenza della prima, la fabbrica del patron rimane coinvolta nei bombardamenti; perdipiù quando la mattanza si conclude, essa viene confiscata dal governo francese che accusa Ettore di collaborazionismo per la sua "vendita" ai tedeschi.

Intenzionato a ottenere la restituzione dell'azienda, non saprà mai di aver vinto la causa contro il governo perché si spegnerà, il 21 agosto del 1947, prima della sentenza definitiva, per delle complicazioni legate a una polmonite contratta durante uno dei suoi frequenti viaggi in barca, sua altra grande passione.
A questo punto è Rolando Bugatti, il più piccolo dei figli di Ettore, a prendere in mano la società di famiglia nel 1951. Concentrandosi in un primo momento nel fornire assistenza alle vetture già in commercio e sulla produzione di motori militari, l'azienda riuscì poi a tornare alla produzione di automobili.

Tuttavia, fu un'esperienza breve e già nel 1956 la Bugatti termina ufficialmente la produzione, dopo 47 anni di attività e poco meno di 8.000 auto assemblate.
La storia dell'azienda riprende, tornando alle radici italiche dello storico fondatore, alla fine degli anni '80 quando l'imprenditore modenese Romano Artioli - che si occupava di importare Suzuki per l'Italia - diede vita a una Bugatti italiana. Nacque così il marchio Bugatti Automobili che, da lì a poco, realizzò delle auto GT dalla tecnologia esclusiva.

Il futuro elettrico di Bugatti

La nuova industria viene installata a Campogalliano, nel modenese, cominciando sin da subito la produzione di un veicolo V12 con motore da 3.5 litri. L'auto viene denominata EB110, proprio in ricordo del fondatore del marchio e presentata a Parigi nel 1991, a esattamente 110 anni dalla sua nascita.

La vettura diviene immediatamente un punto di riferimento nel suo segmento, anche per quanto riguarda il lusso, dal momento che arriva a costare di base oltre 600 milioni di lire e oltre un miliardo di lire nella sua versione più accessoriata (del 1993), la EB 110 SS, in grado fra l'altro di raggiungere una velocità massima di oltre 350 km/h. Proprio poco prima che l'azienda si apprestasse a svelare la superberlina EB112 - rimasta per sempre allo stadio di prototipo - ecco però la doccia fredda di un nuovo fallimento.

La fama del marchio risuona però ancora oggi, pur lontana dall'abbuffata di successi raccolti fra le due guerre, grazie al nome di due suoi piloti leggendari: Veyron e Chiron (scopriamo i segreti della Bugatti Chiron da 1.600 CV). Il primo vincitore della 24 ore di Le Mans il secondo plurivincitore del Gp di Montecarlo e il più anziano pilota a correre un GP di F1. Per quasi tutti questi due nomi sono però oggi sinonimo di potenza poiché associati alle prime due hypercar della nuova era Volkswagen (dal 1998) dell'azienda: bolidi capaci di abbattere il muro dei 1000 CV, dei 400 km/h (con la Bugatti Chiron a 417 km/h in autostrada) e del milione di euro nel prezzo di listino.

Alle sue già molte nazionalità la Bugatti ha recentemente aggiunto anche quella croata, frutto della collaborazione Bugatti-Rimac, azienda specializzata nella produzione di sportive elettriche: una scelta che speriamo possa garantire al glorioso marchio (italo) francese un radioso futuro elettrico. [Tutte le foto appartengono all'Archivio Bugatti]