L'avventura di Ducati in MotoGP: una storia lunga 20 anni

Un rollercoaster d'emozioni lungo vent'anni: da Stoner a Rossi, passando per il super-motore e la penna di Gigi dall'Igna.

L'avventura di Ducati in MotoGP: una storia lunga 20 anni
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L'ingresso in MotoGp di Ducati viene annunciato dalla factory di Borgo Panigale a maggio 2001 approfittando del cambio regolamentare che avrebbe decretato, a partire dall'anno successivo, la fine della lunga storia della classe 500 e l'inizio dell'era MotoGp, con il passaggio dai motori da due a quattro tempi. La Desmosedici viene presentata per la prima volta al Gran Premio del Mugello del 2002, partecipando poi ai test di fine stagione con Troy Bayliss e Vittoriano Guareschi, preparandosi così al meglio per il debutto ufficiale fissato a Suzuka il 6 aprile 2003, prima tappa della nuova stagione. Il progetto Desmosedici si è sviluppato a partire da un team di tecnici capitanato dall'ingegner Filippo Preziosi, con la collaborazione del designer Alan Jenkins, il tutto sotto la supervisione di Claudio Domenicali, amministratore delegato, oggi come allora, di Ducati.

A star is born: la Ducati Desmosedici

La squadra in un primo momento pensò alla possibilità di montare anche nella classe regina il motore bicilindrico che tanti successi aveva portato alla casa italiana fra le derivate di serie. Il team però si accorse ben presto che, a livello tecnico, sarebbe stato impossibile raggiungere i livelli di competitività dei quattro cilindri rivali presenti in pista.

Si scelse dunque di adottare una soluzione diversa, optando per un quattro cilindri a V invece che in linea come tutte le giapponesi. La caratteristica di questo motore, che fra le altre cose dà anche il nome al progetto, è quella di avere la distribuzione desmodromica, che consente di raggiungere alti regimi di rotazione senza ricorrere a sistemi di richiamo pneumatico delle valvole. Altra caratteristica fondamentale è quella del "motore portante". Dalla GP3 (2003) alla GP8 (2008) la Desmosedici ha presentato un telaio tubolare in traliccio con motore portante, una scelta inconsueta. Essendo portante, il motore diventava l'elemento centrale della ciclistica della moto, caratteristica che per molti anni renderà le due ruote della casa italiana seppur molto potenti anche molto difficili da guidare per i suoi piloti. L'esuberanza del prepotente motore, ingestibile quasi per tutti, non sarà invece mai un problema per Casey Stoner, il pilota che indubbiamente ha interpretato al meglio questa peculiare filosofia motociclistica. Un progetto, quello Ducati, nel complesso comunque complicato che è stato smussato a poco a poco nel corso degli anni dalla Casa, con maggior decisione a partire dall'ibrido GP9 fino alla GP12 la quale, adottando un telaio perimetrale a doppia trave in alluminio, decretò ufficialmente la fine del concetto di motore portante.

2003: l'anno del debutto

Con tutti questi elementi può ufficialmente cominciare l'avventura di Ducati in una classe regina che parla italiano con i piloti, Rossi-Biaggi su tutti, ma certamente giapponese con le moto, con la Honda come punto di riferimento. Le Ducati di Loris Capirossi (tre volte campione del mondo fra 125cc e 250cc) e Troy Bayliss (leggenda della Superbike) entrano nel mondiale con l'obiettivo di intaccare l'egemonia del Sol Levante.

L'avventura inizierebbe pure con il piede giusto, un podio, il terzo posto conquistato da Capirossi, non fosse che quel primo Gran Premio del 2003 sarà da tutti ricordato per la tragedia che colpì Daijiro Kato, mentre si apprestava ad affrontare l'ultima chicane prima del traguardo, alla fine del secondo giro. Dopo tanti ritiri e una pole position gettata via a Jerez, un raggio di sole, il primo di 68, spazza via le nubi il 15 giugno in un'assolata Barcellona. Capirossi secondo al via, dietro soltanto al dominatore della stagione Valentino Rossi, fa il vuoto assieme all'alfiere Honda sulla concorrenza. Un duello serrato fino a quando Rossi sbaglia una manovra di sorpasso finendo sulla ghiaia e non riuscendo, pur dopo una rabbiosa rimonta, a recuperare su Capirex. Il sesto tentativo è quello vincente, il primo trionfo della Ducati in top class e per di più con un pilota italiano. Sarà la prima e unica gioia dell'anno di una incoraggiante stagione d'esordio, corredata da ben 9 podi e che spesso ha visto, soprattutto in prova, la Ducati competere alla pari con le rivali giapponesi. Già dai primi test invernali di quella stagione emerge poi un tratto distintivo che si confermerà stagione dopo stagione fondamentale punto di forza della casa di Borgo Panigale: l'incredibile velocità in rettilineo della sua moto.

2004-2007: dalle difficoltà al titolo iridato

Mentre tutto il mondo delle due ruote è ancora scioccato dalla decisione di Rossi di lasciare la moto più forte (Honda) per una delle meno ottimizzate (Yamaha), la Ducati vive una complessa stagione di transizione con Capirossi e Bayliss in grado di conquistare solo due terzi posti, uno a testa, negli ultimi due appuntamenti mondiali di Phillip Island e Valencia.

Le cose non migliorano particolarmente l'anno successivo con Capirossi e il neoacquisto Carlos Checa a podio solo 5 volte in 17 gare. Da ricordare è però la doppietta di Capirossi, capace di imporsi consecutivamente in Giappone - sfruttando una delle rare cadute del campione del mondo Valentino Rossi - e una settimana dopo a Sepang, una pista spesso amica di Ducati nel corso degli anni. Il 2006 è invece una delle stagioni più pazze nella storia della MotoGp come dimostrerà anche il pazzo epilogo di Valencia, ma è anche la prima stagione in cui un pilota Ducati contende per il titolo della classe regina.

Il protagonista è ancora una volta il veterano Capirossi, che concluderà il mondiale al terzo posto grazie a 3 vittorie ma, soprattutto, a una moto finalmente competitiva in tutte le gare e che permette a Capirex di centrare 8 podi complessivi e duellare per tutta la stagione con le moto giapponesi di Rossi, Hayden, Pedrosa e Melandri. Roboante è poi il commiato alla stagione. A Valencia, infatti, l'ultimo GP, arriva la prima doppietta Rossa in MotoGP con Bayliss - rientrato dalla SBK solo per quella gara, in sostituzione di un opaco Gibernau, e alla prima e unica affermazione nella categoria regina - davanti a Capirossi.

Un trionfo però oscurato dalla lotta per il titolo, perché quel giorno, con la sua caduta, Valentino Rossi ha di fatto messo il titolo nelle mani dell'outsider americano Nicky Hayden su Honda. Quella doppietta tanto frettolosamente dimenticata sarà però il perfetto lancio per la stagione 2007, gloriosa per la Ducati grazie a un giovane australiano. Tutti infatti aspettano Rossi, tutt'al più Pedrosa, e invece già a Losail appare chiaro che il grande sfidante dell'italiano per il titolo sarà un certo Casey Stoner, appena approdato a Borgo Panigale al fianco dell'eterno Capirossi. Un pilota, l'australiano, da sempre veloce ma, fino a quel momento, più noto per le sue numerose e rovinose cadute più che per essere un serio title contender. La sua Ducati però ridicolizza sui rettilinei del primo appuntamento iridato la Yamaha del Dottore, permettendogli di vincere con margine sotto la bandiera a scacchi la sua gara d'esordio. La differenza di velocità di punta in Qatar - e per tutta la stagione - è abissale: 315 km/h contro i 295 della casa giapponese in quell'occasione.

Alla devastante velocità di punta della Desmosedici quell'anno però si aggiunge l'impeccabile guida del pilota australiano, capace di dominare la stagione vincendo 10 gare su 18, un bottino che gli permetterà di laurearsi campione del mondo già a Motegi, con tre gare d'anticipo, mentre nel successivo appuntamento in Malesia arriverà anche il primo alloro costruttori.
Un successo arrivato anche grazie alle gomme Bridgestone che in diversi Gran Premi surclassano le Michelin di Yamaha e Honda. Rossi e la sua Yamaha si fermano a 4 vittorie mentre la Ducati, grazie anche al successo proprio in Giappone di Capirossi, segna 11 alla voce dei successi stagionali, un record rimasto ineguagliato per quindici stagioni e infranto solo nella stagione corrente, dove il team di Borgo Panigale è già a quota 12 con una gara ancora da disputare.

La sfortunata "Era Rossi"

Se i problemi di guidabilità della moto in quel magico 2007 vengono nascosti dallo stato di grazia dell'australiano, negli anni successivi emerge con sempre maggiore forza il tormentone della moto "solo per Stoner". Se le pessime prestazioni dell'anno precedente di Capirossi possono essere attribuite all'età avanzata del centauro italiano, nel 2008 al fianco del fortissimo australiano siede un altro grande talento come Marco Melandri.

Quello che sulla carta sarebbe potuto essere un Dream Team si scioglierà però alla prova dei fatti, con l'italiano che riuscirà a entrare solo 3 volte nei primi 10 durante l'intera stagione. Sarà il primo di una lunga serie di piloti "schiacciati" dalla Ducati. Va molto meglio a Stoner, l'unico ducatista a suo agio, che centra 6 vittorie ma che stavolta viene piegato alla distanza da Valentino Rossi e la sua Yamaha che si prendono la rivincita e il titolo mondiale. Va ancora peggio nel 2009, 4 sole vittorie, tutte con il solito Stoner e una stagione invece incolore per Nicky Hayden al suo fianco, a podio solo una volta. Nel 2010 lo spartito non cambia e i trionfi si assottigliano a 3, tutti dell'australiano. La vittoria nel GP d'Australia rimarrà, addirittura per 6 anni, l'ultimo successo di un ducatista nella top class, un risultato ancor più difficile da credere se si tiene conto del fatto che nel 2011 il team di Borgo Panigale riesce a ingaggiare la stella più brillante del mondo delle due ruote: Valentino Rossi. Il dolore per aver mancato l'opportunità di lottare per il titolo con un binomio all'apparenza perfetto, per di più tutto italiano, viene se possibile acuito dai trionfi di Stoner, appena trasferitosi alla corte della Honda HRC. La Desmosedici non è competitiva e le occasioni per ben figurare sono del tutto sporadiche. Pochi i pomeriggi da ricordare: due podi a Le Mans (2011 e 2012) e il secondo posto di Vale nella sua Misano (2012), senza vittorie. Un bottino troppo magro per due stagioni nelle quali le attese erano ben diverse.

Il rinascimento firmato Dall'Igna

La lenta risalita dalle macerie passa attraverso altre tre stagioni senza successi, durante le quali alla guida della Rossa si succedono Andrea Dovizioso, Cal Crutchlow e Andrea Iannone. Il lungo purgatorio si interrompe finalmente il pomeriggio del 14 agosto 2016 quando, sulla pista austriaca di Spielberg, la Ducati torna a trionfare, con una meravigliosa doppietta firmata dai "due Andrea", con Iannone davanti a Dovizioso, in una stagione però dominata dallo spagnolo Marc Marquez e la sua Honda.

Alla base della rinascita tecnica vi è il prezioso contributo dietro le quinte dell'ingegnere Gigi Dall'Igna - che vanta una storia di successi tra motomondiale e SBK con Aprilia - che dal 2014, dopo la parentesi Bernhard Gobmeier, ha sostituito Filippo Preziosi alla guida tecnica del team (abbiamo incontrato Dall'Igna e l'intero team Ducati lo scorso anno, Nel garage Ducati prima del GP di San Marino 2021, e anche quest'anno, Nei box Ducati Lenovo Team a Misano). Dalla stagione 2016 Ducati vincerà sempre almeno un GP, molti dei quali con il forlivese Andrea Dovizioso, in Ducati dal 2013 al 2020, sicuramente il migliore interprete in quegli anni della moto di Borgo Panigale. Anche più di un certo Jorge Lorenzo (2017-18), un altro titolatissimo pluricampione del mondo che, come Rossi, non riuscirà però ad affermarsi fino in fondo con la moto italiana. Dovizioso è l'unico pilota della MotoGP nelle stagioni 2017, 2018 e 2019 in grado di impensierire l'incontrastato dominio dello spagnolo Marc Marquez e della sua Honda. Saranno 12 i trionfi in queste tre stagioni per l'alfiere Ducati, non abbastanza per piegare l'asso spagnolo ma sufficienti a conquistare per tre volte il titolo di vice campione del mondo.

Un sogno chiamato Bagnaia

Gli ultimi tre campionati privi per varie ragioni di dominatori del calibro di Rossi, Lorenzo, Stoner e Marquez sono all'insegna della più totale incertezza. Una grossa occasione ma anche un'importante responsabilità per Ducati, chiamata a non rimandare ancora l'appuntamento con l'agognato titolo.

L'unica certezza, in un motomondiale senza padroni, appare - ogni anno di più - l'assodata competitività della Ducati, ormai punto di riferimento della MotoGP come dimostrano i due titoli costruttori conquistati nel 2021 e 2022 (Ducati vince il secondo titolo costruttori consecutivo). La moto di Borgo Panigale ha ormai completato quella transizione che l'ha avvicinata in termini di guidabilità alle versatili giapponesi, pur mantenendo peculiari tratti distintivi come la potenza del suo motore, sempre il più competitivo del lotto, o l'avanguardia nel settore dell'aerodinamica. Un ambito che a lungo è stato ritenuto di interesse "solo per la F1" e nel quale invece Ducati ha creduto ed investito prima di tutti, facendo ad esempio debuttare, già nel lontano 2010, le prime rudimentali "alette". Le due vittorie del 2020 sono diventate sette lo scorso anno, con tre piloti diversi (un record) e addirittura 12 (record assoluto) nella stagione in corso.

L'occasione per dare, dopo quattordici anni di attesa, di nuovo l'assalto al titolo si presenta nel 2021 ma Bagnaia e il team di Borgo Panigale pagano a caro prezzo diversi errori di inesperienza consegnando alla fine il titolo nelle mani della consistente Yamaha di Fabio Quartararo.

La storia sembra seguire lo stesso copione anche nel 2022, tant'è che dopo il Sachsenring Bagnaia accusa 91 punti di distacco dal rivale francese, un ritardo mai colmato nella storia di questo sport. L'impressionante bottino però di 5 vittorie e 8 podi in 9 gare del torinese "Pecco", sommato a un improvvisamente incostante se non addirittura drammatico cammino del francese, permettono all'italiano di raggiungere e poi addirittura scavalcare Quartararo.

Un sorpasso che domenica 6 novembre 2022 ha portato Francesco "Pecco" Bagnaia a vincere un titolo mondiale atteso da tanto, troppo tempo dalla Casa di Borgo Panigale, con ben 17 punti di scarto sul rivale Quartararo. Un degno e meritato punto d'arrivo dopo 20 anni di lavoro e sforzi, un continuo rollercoaster emozionale fatto di grandi trionfi e imprese quanto di tonfi e insuccessi. Ducati è di nuovo, con orgoglio, sulla vetta del mondo.