I 54 anni di Michael Schumacher: un imperatore vestito di rosso

Michael Schumacher è stato in grado di riportare in Paradiso la Ferrari dopo due decenni trascorsi tra Inferno e Purgatorio. I 54 anni di una leggenda.

I 54 anni di Michael Schumacher: un imperatore vestito di rosso
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8 ottobre 2000, Michael Schumacher dopo una stagione da cuore in gola riporta il titolo mondiale a Maranello 21 anni dopo Jody Scheckter, interrompendo un'atroce maledizione che stava soffocando la più blasonata scuderia della storia della Formula 1.
Un incantesimo che sembrava aver tolto i super poteri anche al bi-campione del mondo tedesco, il pilota più forte della sua era e, secondo molte statistiche, dell'intera storia della F1.
Il 3 gennaio 2023 l'imperatore che era solito vestirsi di rosso ha compiuto 54 anni (gli auguri di Ferrari a Michael Schumacher) e quella che segue è la sua storia con la scuderia di Maranello.

La Leggenda Michael Schumacher: dal celeste al rosso

Riuscito nell'impresa di consegnare due titoli mondiali - primo tedesco della storia a riuscirci - al piccolo team anglo-italiano Benetton guidato dall'italianissimo Flavio Briatore, piegando la scuderia più forte del decennio, l'imprendibile Williams splendidamente adornata con i colori del gigante del tabacco Rothmans uscita dalla penna del genio Adrian Newey, Schumi fatica a ripetere l'impresa con la leggendaria scuderia di Maranello (se vuoi saperne di più leggi il nostro speciale Enzo Ferrari, l'uomo dietro il mito del Cavallino Rampante).

Il matrimonio con la Rossa si stringe nell'estate nel 1995, quando il campione tedesco è involato verso l'iride per la seconda volta, e si consuma a partire dalla stagione successiva, 1996. In quella prima stagione con il Cavallino sul petto a impedirgli di attaccare la corona è però una macchina lenta, pesante e inaffidabile con la quale comunque sarà in grado di "aprire le acque" a Barcellona, surclassando i rivali e volando verso la sua prima vittoria in Rosso. Nelle stagioni successive, con un'auto competitiva, il sogno suo e di milioni di appassionati si infrange invece per due volte all'ultima curva, prima contro la fiancata della Williams di Jacques Villeneuve - un figlio "rinnegato" della Ferrari - poi a Suzuka, contro l'imprendibile Freccia d'argento guidata dal finlandese Mika Hakkinen, con Schumacher in pole position che prima stalla sulla griglia e poi, dopo una rimonta furibonda, è costretto al ritiro per lo scoppio di uno pneumatico. Il 1999 sembra l'anno buono ma a far crack in un'incidente dall'incredibile dinamica è la sua gamba destra alla curva Stowe di Silverstone. "Sarà in grado di tornare ai livelli di prima?"

È la domanda che assilla da luglio a settembre il Circus della F1 e la cui risposta si ha al penultimo GP di quella sfortunata stagione. Al suo ritorno nell'abitacolo, in Malesia, Schumacher è subito in pole position e in gara si fa in quattro per aiutare Eddie Irvine ancora in lotta per il titolo.

Non sarà però sufficiente, con ancora la McLaren a fare festa. Nel Duemila finalmente il suo momento, che però arriva dopo un'estate da incubo dove fra incidenti e l'umiliante sorpasso subito a Spa dal rivale di una vita Mika Hakkinen (leggete qui della grande rivalità fra Schumacher e Hakkinen) ha visto svanire l'enorme vantaggio accumulato a inizio anno. Dopo il liberatorio pianto in mondovisione di Monza però nulla sarà più in grado di ostacolarlo e il tedesco di ghiaccio, improvvisamente umano, sarà una furia a Indianapolis e un tornado in Giappone dove, al quinto tentativo, riporterà "i colori dell'arcobaleno sulle insegne del Cavallino Rampante". Ha inizio così una delle più splendide e vincenti dinastie sportive, paragonabile ai Bulls di Michael Jordan o al Real delle cinque Champions League. Sì perché i trofei in bacheca si moltiplicano come i biblici pani e pesci con Williams e McLaren - storiche aguzzine della Ferrari nei due decenni precedenti - a spartirsi solo le briciole. Dal 2000 al 2004 arrivano 48 vittorie, 40 pole position ma soprattutto un mondiale dopo l'altro, vinti all'ultimo respiro (2000-03) o con largo anticipo, addirittura sotto l'ombrellone, nelle calde estati 2001, 2002 e 2004.

The Last Dance

L'ultima volta al volante di una Rossa sarà a San Paolo nel 2006, capace di dire basta dopo un rimontone da paura prima del suo clamoroso "ritorno alle origini", quattro anni più tardi, con Mercedes (2010-12). "Non è più lui", affermano in molti, ed è vero, ma intanto è ancora capace di timbrare la sua ultima stagione di Formula 1 stampando una pole da urlo nella sua Montecarlo, dove vanta 5 successi, secondo solo al mago Ayrton.
Poi lo spazio è solo per il dolore che dal 2013 avvolge la sua figura. "Non solo a me ma a tutti manca Michael", afferma la moglie Corinna Schumacher nel documentario del 2021 che il gigante dello straming Netflix ha dedicato all'asso tedesco. "Michael è diverso ma è qui", afferma con voce rotta.

È proprio vero, Michael ci manca. Un uomo che ha sofferto (rompendosi una gamba a Silverstone 1999), ha sbagliato (speronando Villeneuve nel 1997), ha espiato (come dimostra il crollo nervoso avuto in conferenza stampa a Monza 2000) ma non ha mollato, anche quando, come afferma Jean Todt, "si iniziò a pensare che lui non fosse l'uomo giusto per la Ferrari". Simbolo più che di fragorose vittorie sportive di una solida certezza che ha accompagnato e scandito le vite di migliaia se non milioni di persone. Un rifugio, uno svago dalla vita o forse, semplicemente, Michael.